Ieri, lunedì 4 gennaio 2021, il ministro degli Esteri del Kuwait, Ahmad Nasir al Sabah, ha annunciato che l’Arabia Saudita rimuoverà l’embargo sul Qatar, introdotto il 5 giugno 2017. Nella giornata di oggi, l’emiro di Doha, Tamim bin Hamad al Thani, guiderà la delegazione qatariota al 41° summit del Consiglio di Cooperazione del Golfo ad Al-Ula, nel nord-ovest dell’Arabia Saudita, per discutere di “una nuova pagina di fraternità nella regione”.

La scelta di bloccare i confini terrestri, aerei e marittimi del piccolo Emirato era stata giustificata da Riad, insieme all’Egitto, al Bahrain e agli Emirati Arabi Uniti, come rappresaglia contro il sostegno di Doha a gruppi terroristici. In realtà, le monarchie del Golfo non tollerano la riluttanza della famiglia al Thani ad accettare la primazia saudita nel sistema di relazioni internazionali dell’area e all’interno del mondo sunnita. Inoltre, il Qatar non è disposto ad allinearsi alle posizioni di netta ostilità dei suoi vicini nei confronti dell’Iran, con il quale condivide lo sfruttamento di alcuni giacimenti offshore di gas e petrolio.
Già nelle settimane passate, non era mancata la disponibilità dell’erede al trono saudita e sovrano de facto del Paese, Muhammad bin Salman, alla quale corrispondevano i toni concilianti dell’Emiro al Thani. Anche dal Kuwait giungevano discreti segnali di soddisfazione, segno che la tradizionale diplomazia di mediazione della famiglia al Sabah stava svolgendo il suo lavoro sotterraneo. L’accelerazione nella soluzione della vertenza è legata però agli Stati Uniti, che continuano ad esercitare un peso determinante nella regione, nonostante il generale disimpegno di Washington dal Medio Oriente, inaugurato con l’amministrazione Obama.

Nella fase di passaggio tra la presidenza di Donald Trump e quella di Joe Biden, si sono create le condizioni favorevoli allo sblocco dell’impasse. Il presidente uscente, già protagonista della stagione di normalizzazione delle relazioni tra Israele e diversi Stati arabi nel quadro degli Accordi di Abramo, era alla ricerca di un altro successo in campo internazionale per rivendicare la qualità della sua azione diplomatica. Tale impegno potrebbe essere speso anche per dare peso a un’eventuale ricandidatura di Trump alle elezioni presidenziali del 2024.

Nello stesso tempo, Biden e i suoi collaboratori hanno lasciato intendere che l’approccio della nuova amministrazione verso le monarchie del Golfo non sarà determinato solo da esigenze di realpolitik, cioè dalla necessità di mantenere legami stretti con i regimi sunniti per corroborare la strategia della massima pressione su Teheran. È probabile che il nuovo presidente cerchi di raccogliere i frutti della scelta di Trump di strozzare economicamente l’Iran per obbligare gli ayatollah a rinunciare alle loro velleità di costruzione di un Crescente sciita esteso dal confine con il Pakistan alle coste del Mediterraneo. Biden è favorevole a un compromesso, ma questo deve puntare a smorzare ulteriormente le ambizioni egemoniche iraniane, già in parte limitate dall’accordo del luglio 2015 voluto da Obama. Ciononostante, il presidente eletto non è disposto a ignorare le violazioni dei diritti umani perpetrate nei Paesi della Penisola arabica alleati di Washington. Non a caso, Jake Sullivan, nominato da Biden consigliere per la sicurezza nazionale, ha espresso la sua riprovazione per la condanna di Loujain al Hathloul, attivista per la difesa dei diritti delle donne, a sei anni di reclusione con l’accusa di aver tentato di rovesciare il regime saudita con la complicità di potenze straniere.

La decisione di Riad di ristabilire i rapporti con Doha dà quindi soddisfazione al desiderio di Trump di accreditarsi come l’artefice di una nuova stagione di stabilità e cooperazione tra i Paesi mediorientali. Allo stesso tempo, Muhammad bin Salman lancia un segnale di buona volontà al presidente eletto, in vista di una collaborazione con gli Stati Uniti che non potrà ignorare la diversa sensibilità dei democratici americani verso i temi del rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali. Restano alcuni nodi da sciogliere, come la riluttanza degli Emirati Arabi Uniti a riammettere il Qatar nella famiglia delle monarchie sunnite del Golfo senza una formale rinuncia di Doha alle sue ambizioni. Ma un’altra vertenza del complicato scacchiere mediorientale si sta per chiudere. In attesa che il nuovo inquilino della Casa Bianca riposizioni le pedine americane nel Golfo.

Foto: nationsonline.org