L’Italia deve adottare una politica estera più organica nei confronti dell’Egitto. La sfida è complessa per la diplomazia e per la nostra classe politica, spesso disinteressata alle questioni internazionali. Ma non è possibile continuare a rapportarsi verso il Paese nordafricano, alternando l’euforia degli affari allo sconcerto per il rifiuto del Cairo di fare luce sulla morte di Giulio Regeni.
Tra meno di un mese ricorre il quinto anniversario del ritrovamento del corpo del ricercatore italiano dell’università di Cambridge. Il cadavere presentava chiari segni di percosse e torture, compatibili con i metodi adottati dagli apparati di sicurezza egiziani. Il Governo del presidente Abdel Fattah al Sisi, tuttavia, non ha mai avallato i sospetti italiani. Anche dopo che la magistratura di Roma, il 10 dicembre scorso, ha concluso le sue indagini, richiedendo di processare quattro membri dell’Agenzia di sicurezza nazionale egiziana, dal Cairo continuano a considerare illogiche le accuse italiane. La tesi ufficiale resta quella di una rapina finita male o, più recentemente, di un complotto per avvelenare i rapporti con Roma.
Intanto, l’attenzione dell’opinione pubblica italiana sul caso Regeni resta alta. Diverse organizzazioni per la difesa dei diritti umani, impegnate a denunciare il carattere sempre più autoritario del regime di al Sisi, conducono una battaglia nella società civile per chiedere la verità. Anche i genitori del giovane friulano sono molto attivi. Questi hanno annunciato la presentazione di un esposto-denuncia contro il Governo italiano per violazione della l. n.185/1990, che vieta l’esportazione di armi verso Paesi responsabili di violazioni gravi dei diritti umani. Tale iniziativa segue di pochi giorni la consegna all’Egitto della prima di due fregate di classe Fremm (Fregate europee multi-missione), costruita da Fincantieri a La Spezia. La nave da guerra rientra nell’ambito di una commessa dal valore di dieci miliardi di euro per la fornitura di armamenti di vario tipo al Cairo, a testimonianza del peso degli interessi economici tra i due Paesi mediterranei.
In seguito alla caduta del regime di Gheddafi, l’Egitto è subentrato alla Libia come principale partner commerciale dell’Italia in Africa settentrionale. Il Cairo controlla un mercato di oltre cento milioni di persone e un’economia che, nonostante l’impatto del coronavirus, dovrebbe essere cresciuta tra il 5,5 e il 6% nel 2020. Inoltre, la diversificazione delle attività produttive consente alle imprese italiane di fare affari in molti settori, dalla vendita di macchinari all’esportazione di prodotti alimentari, dagli investimenti nel turismo all’edilizia e alle infrastrutture.
Anche sul fronte energetico la collaborazione italo-egiziana è molto intensa. Nel 2015, Eni ha scoperto Zohr, il più grande giacimento di gas naturale offshore nel Mediterraneo, situato a meno di 200 Km da Porto Said ed entrato in piena produzione nel 2019. Con riserve stimate pari a 850 miliardi di metri cubi, Zohr dovrebbe coprire il fabbisogno egiziano per i prossimi due decenni, contribuendo alla sicurezza energetica del Paese.
La portata degli interessi economici italiani verso l’Egitto è dunque rilevante.
Di conseguenza, non è possibile rompere le relazioni col Cairo, come pure qualche giornalista propone, sprecando inchiostro per riportare semplici chiacchiere da bar. Nello stesso tempo, rinunciare a ottenere giustizia per Giulio Regeni significherebbe sottrarsi all’obbligo morale e giuridico di conoscere la verità e punire severamente i colpevoli. Inoltre, il prestigio di Roma nel Mediterraneo, già indebolito dalla riluttanza o dall’incapacità della politica italiana a elaborare una strategia per difendere gli interessi nazionali, sarebbe ulteriormente compromesso.
Spetta ai vertici politici della Farnesina e di Palazzo Chigi l’individuazione di una soluzione al problema dei rapporti con l’Egitto, che includa questa pluralità di esigenze divergenti. La conduzione della politica estera non può prescindere da una certa fantasia nel trovare soluzioni a problemi complessi, naturalmente insieme a una solida conoscenza della geopolitica e delle relazioni internazionali contemporanee. L’obiettivo è di perseguire in giudizio i responsabili della morte di Regeni, salvaguardando i rapporti economici e senza pregiudicare la sopravvivenza del regime di al Sisi che, per quanto autoritario e liberticida, garantisce la stabilità di un Paese cardine per gli equilibri nel Medio Oriente e nel Mediterraneo orientale.
A tale proposito, non è difficile escogitare iniziative di endorsement politico al Governo del Cairo, magari coinvolgendo anche l’Unione europea, tali da consentire ad al Sisi di consegnare alla giustizia italiana gli assassini di Regeni e di rafforzare al contempo la sua leadership. In un’ottica di lungo periodo, non può nemmeno escludersi che il regime egiziano, reso più solido da un sostegno internazionale legato non solo alla necessità di evitare il caos nel Paese delle piramidi, potrebbe allentare le maglie della repressione e consentire di godere dei diritti civili e politici oggi calpestati. In questo l’Italia può fare la sua parte, nell’ambio di una politica organica verso Il Cairo, avvalendosi delle risorse diplomatiche e di intelligence disponibili. Ma, riprendendo la metafora calcistica di un professore dei tempi dell’università, la diplomazia deve fare assist. Il goal lo fa la politica.
Foto: lonelyplanetitalia.it
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