Ci siamo caduti di nuovo. Non ci siamo lasciati scappare l’opportunità. La visita di Matteo Renzi in Arabia Saudita era un’occasione troppo ghiotta: abbiamo mostrato ancora una volta a noi stessi quanto siamo provinciali. E lo abbiamo ribadito anche a chi ci guarda dall’esterno. Continuiamo a trattare le questioni internazionali con la limitatezza culturale e la meschinità di giudizio tipiche di chi ha orizzonti ristretti. Questo accade tanto nel dibattito quotidiano nazionale quanto nei palazzi dove si decide la posizione internazionale dell’Italia. E la politica estera ne esce umiliata ogni volta.

Renzi si è recato in Arabia Saudita per tenere una conferenza e ha incontrato il principe ereditario e sovrano de facto, Muhammad bin Salman. Il senatore italiano era presente come membro del board del Future Investment Initiative Institute, creato all’inizio dell’anno scorso da re Salman ibn Saud. La fondazione riunisce esponenti del mondo della politica e degli affari, soprattutto di Paesi occidentali, per sviluppare il dibattito intorno al progetto, annunciato da Riad nell’ottobre 2017, di utilizzare il fondo sovrano nazionale per finanziare investimenti miliardari. I sauditi puntano a privilegiare settori considerati strategici, quali l’intelligenza artificiale, le energie rinnovabili, le biotecnologie e la sicurezza cibernetica. Tale sforzo di modernizzazione si inserisce nel quadro più ampio della Saudi Vision 2030. Il piano, reso noto nell’aprile 2016, punta a diversificare l’economia per ridurre la dipendenza dal settore petrolifero entro la fine di questo decennio.

In Italia, tutto questo non interessa a nessuno della classe dirigente. Eppure, le opportunità per le nostre imprese, comprese quelle a partecipazione statale, sono interessanti. Con un’adeguata strategia politica, il sistema-Paese potrebbe essere più competitivo. Potremmo sfruttare le capacità e le conoscenze delle grandi aziende, abituate a muoversi sul piano globale, per poi coinvolgere realtà più piccole ma in possesso di know-how da mettere a profitto all’estero.

Invece, ci ricordiamo che esiste qualcosa oltre il nostro orizzonte solo quando accadono fatti che hanno ripercussioni nel teatrino quotidiano della politica nazionale o riempiono qualche pagina di giornale. Certo, potrei apparire vittima di banali generalizzazioni, anche perché disponiamo di think tank che ogni anno si collocano ai vertici delle classifiche internazionali per la qualità delle loro attività.  Ma è difficile contestare che, fatta eccezione per gli analisti del settore, per l’intelligence e per pochi interessati, tali questioni hanno un peso residuale nelle preoccupazioni del Paese. E la cosa più grave è che il mondo politico non fa eccezione.

Lo ha dimostrato anche Renzi. È sorprendente che un membro autorevole della commissione Difesa del Senato tessa le lodi dell’Arabia Saudita, presentandola come la culla di un imprecisato Rinascimento mediorientale e come baluardo contro l’islamismo radicale e il terrorismo. La realtà è che Riad continua a finanziare gruppi vicini al pensiero wahhabita, sviluppatosi nella seconda metà del XVII secolo e promotore di un ritorno alle fonti coraniche e allo spirito dei primi musulmani. Questo approccio ha dato vita a un movimento ultraconservatore, che sostiene la dinastia dei Saud e favorisce l’afflusso di petrodollari a molte formazioni radicali, dal Senegal all’Indonesia. L’austerità wahhabita è utilizzata dal regime per giustificare la compressione dei diritti civili e politici dei cittadini, che vi hanno rinunciato nell’ambito di un patto sociale basato sullo scambio tra libertà e benessere. Le aperture incoraggiate dal principe ereditario scalfiscono soltanto la superficie di un muro fatto di rifiuto del dissenso politico e mancato rispetto delle libertà di base.

Altrettanto sorprendente è la posizione del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio. Il capo pro tempore della nostra diplomazia ha lasciato filtrare la tesi che l’indignazione per le parole di Renzi lo abbia spinto a bloccare la vendita di armi ai regimi liberticidi di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Quasi che la visita di Di Maio a Muhammad bin Salman di venti giorni fa non sia mai avvenuta. Il carattere pretestuoso dell’argomentazione basata su considerazioni etiche è stato ammantato di solidità giuridica ricorrendo alla legge n.185 del 1990. Questa vieta l’esportazione di materiale bellico a Paesi responsabili di violazioni gravi delle convenzioni internazionali sui diritti umani o che si trovino in stato di conflitto armato.

Il riferimento è al coinvolgimento di Riad e Abu Dhabi nella guerra civile in Yemen. Peccato che a Roma se ne siano ricordati a quasi sei anni dall’inizio delle operazioni della coalizione guidata da Riad per sostenere il governo di Abd Rabbih Mansur Hadi contro i ribelli houthi, appoggiati dall’Iran. La decisione è tardiva e non impedirà di aggiornare il triste bilancio delle vittime civili. La scelta non è di politica estera, ma di politica improvvisata. Al massimo si tratta di politica cortigiana. Roma ha infatti imitato una mossa analoga fatta dal presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che non è disposto a mantenere l’atteggiamento benevolo di Trump verso le monarchie del Golfo, in cambio dell’opposizione ai disegni egemonici iraniani.

Insomma, siamo stati capaci di fare un pasticcio tutto italiano in salsa mediorientale. Questo succede perché sono anni, forse decenni, che l’Italia non ha una politica estera. Il nostro Paese non dispone di una consapevolezza di sé come attore dello scacchiere internazionale con interessi da difendere e posizioni da conquistare. Non possiamo contare su obiettivi di fondo condivisi e perseguiti al di là dell’alternanza dei Governi e del cambio delle maggioranze parlamentari. La casella di ministro degli Esteri deve essere finalmente occupata da persone dotate di competenze tali da affrontare le sfide della politica internazionale con preparazione e sensibilità verso questioni oggi neanche percepite. Altrimenti continueremo a navigare a vista e senza bussola in un mare pieno di pericoli. E la politica estera italiana continuerà a morire ogni giorno.

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