“Siete tutti fratelli” è il motto, tratto dal Vangelo di Matteo, del viaggio apostolico di papa Francesco in Iraq, che inizia oggi. La visita ha una grande importanza politica e simbolica, e ha luogo in un momento di crisi acuta per il Paese mediorientale. Il pontefice, nonostante i rischi securitari e sanitari, ha deciso di non rimandare il viaggio. Bergoglio vuole testimoniare la vicinanza ai cristiani perseguitati, ma anche costruire nuovi ponti con l’Islam e lanciare il suo messaggio di pace per il Medio Oriente.
Francesco realizza un sogno che fu di Giovanni Paolo II. Il papa polacco avrebbe voluto addirittura aprire il grande giubileo del 2000 dall’Iraq o da un altro luogo simbolico dell’area, ma questioni politiche e di sicurezza impedirono la realizzazione dell’idea. Bergoglio sarà dunque il primo vescovo di Roma a recarsi nel Paese che, dopo la Terrasanta, ospita il maggior numero di siti citati nell’Antico Testamento.
La presenza cristiana in Iraq risale già alla metà del I secolo, quando l’apostolo Tommaso portò il messaggio di Gesù nelle terre fra il Tigri e l’Eufrate. Oggi, però, i cristiani sono un’esigua minoranza, non superiore alle 300mila persone. Alla fine della seconda guerra mondiale, erano più di 5 milioni. Decenni di dittatura, di guerra e di miseria hanno spinto molte famiglie a emigrare verso l’Europa, gli Stati Uniti e l’Australia. La fuga dei cristiani, che hanno patito insieme agli altri iracheni le tragedie dei conflitti del 1990-91 e del 2003, si è accentuata nel 2014. Il 29 giugno di quell’anno, Abu Bakr al Baghdadi si autoproclamava califfo del sedicente Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis o Daesh). Cominciavano i mesi delle persecuzioni, delle confische arbitrarie e delle distruzioni di monumenti antichi e luoghi di culto, giudicati blasfemi dai fanatici dell’Isis.
Tutta la piana di Ninive, ampi territori nel nord e nel governatorato di Al Anbar sono usciti dalla morsa dei seguaci di al Baghdadi solo a partire dal 2017. Ma restano le distruzioni materiali e le ferite ancora sanguinanti nei cuori delle persone. Su questo dolore, Francesco intende chinarsi per manifestare la sua vicinanza. Si tratta di gesti simbolici, che però possono spronare chi è sopravvissuto all’Isis a rialzarsi, con buona volontà e spirito di fratellanza tra le varie comunità ed etnie, che coabitano da secoli in terra di Mesopotamia.
Tra le tappe del viaggio apostolico, figurano anche Najaf e Ur dei Caldei. Nella città santa dei musulmani sciiti, Francesco incontrerà il grande ayatollah, Ali al Sistani. Nonostante l’età avanzata, il leader spirituale continua a esercitare un’influenza profonda sulla società irachena, condannando la corruzione e l’estremismo religioso. Al Sistani è nato nella città persiana di Mashad, non lontano dal confine con il Turkmenistan. Egli si è sempre opposto, tuttavia, ai tentativi degli iraniani di utilizzare la leva religiosa per estendere la loro influenza su Baghdad e affermare il primato del clero di Qom su quello di Najaf. La sua ostilità alle ingerenze dell’establishment religioso nel sistema politico fu causa di contrasti con la Guida suprema della rivoluzione iraniana, l’ayatollah Rudollah Khomeyni.
Il papa e al Sistani intendono costruire un ponte di dialogo e rispetto tra la Chiesa cattolica e l’Islam sciita. Il modello è quello dei rapporti tra Bergoglio e Ahmad al Tayyib, grande imam di al Azhar, centro del pensiero teologico e giuridico sunnita. Najaf è tappezzata di cartelli con le immagini di Francesco e al Sistani, accompagnate dallo slogan in arabo “voi siete un pezzo di noi e noi siamo un pezzo di voi”. Altrettanto importante sarà l’incontro interreligioso nella piana di Ur, dove Abramo, padre comune nella fede di ebrei, cristiani e musulmani, iniziò la sua storia con il Dio unico, destinata a plasmare il futuro dell’umanità.
Nel nord dell’Iraq, a Erbil e a Mosul, già capitale del sedicente Stato islamico, il vescovo di Roma incontrerà le comunità ferite dall’Isis. La visita non è limitata ai cristiani della terra di Ninive, ma a tutti gli abitanti dell’area. Il papa lancia così un messaggio contro il settarismo, che è destinato a tutto il Medio Oriente.
L’odio tra diversi gruppi etnici e confessionali e la strumentalizzazione della religione per fini politici e di prevaricazione sono alla base dei conflitti, che distruggono il futuro di Paesi come l’Iraq, la Siria, il Libano, lo Yemen. La costruzione di muri non ha protetto le comunità, ma ne ha accresciuto l’isolamento, alimentandone le paure. È tempo di abbandonare questo modo di agire, per seguire una strada diversa, quella della fratellanza, concepita da Francesco come nuova frontiera dell’umanità.
Le implicazioni politiche di tale messaggio sono chiare. Bergoglio chiama a raccolta cristiani e musulmani per chiedere con una voce unica la fine dell’uso politico della religione, contro la corruzione, la violenza e il settarismo. E lo fa nel Paese che, insieme alla Siria, ha conosciuto l’oscurità di Daesh. Dove il 30% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà, sebbene l’Iraq sia il quarto esportatore di petrolio a livello globale.
I prossimi mesi diranno se i semi gettati da Francesco in Iraq porteranno i frutti sperati. In Oriente, quando si vuole onorare una persona non la si invita a casa propria, ma le si rende una visita. La prima vista di un vescovo di Roma nella terra fra il Tigri e l’Eufrate.
Foto: aleteia.org
Scrivi un commento