Oggi si celebra la Giornata della Marina Militare. La festa fu istituita nel 1939 e venne scelta la data del 10 giugno perché in questo giorno ricorre l’anniversario dell’impresa di Premuda. Per l’Italia, collocata al centro del Mediterraneo e con quasi 8.000 Km di coste, il controllo del mare è fondamentale. La Marina contribuisce alla sicurezza del Paese, ma anche a dare corpo alla sua proiezione geopolitica. Perché senza una forza armata capace di affrontare le sfide e le minacce provenienti dall’orizzonte, Roma non potrà evitare peggioramenti nella gerarchia della potenza. Eppure, non sembra che tali considerazioni siano molto diffuse nelle sedi dove si prendono le decisioni sulla nostra posizione internazionale. Con il rischio di trovarci i competitor all’imbocco dei porti italiani senza nemmeno accorgercene.
Nella notte tra il 9 e il 10 giugno 1918, due motoscafi armati siluranti partirono da Ancona, sotto il comando del capitano di corvetta Luigi Rizzo per un’ordinaria azione di pattugliamento. Giunti in vista dell’isola croata di Premuda, allora appartenente al nemico austro-ungarico, i nostri marinai intercettarono un’imponente flotta avversaria, guidata dalla corazzata Santo Stefano. L’obiettivo di Vienna era di rovesciare a suo favore le sorti della guerra navale nel Mediterraneo. Il piano era di forzare il blocco del Canale d’Otranto, distruggendo le forze leggere dell’Italia e degli alleati, prima che i rinforzi giungessero da Taranto e dalla Grecia. Rizzo e i suoi uomini, con audacia e sprezzo del pericolo, riuscirono a silurare e affondare la grande nave.
L’impresa di Premuda spense le ultime velleità degli austriaci. Vienna intendeva ridare gloria a una flotta che, dall’inizio della guerra, era stata quasi sempre ferma nei porti adriatici, bloccata dalla Marina italiana. Questa era riuscita a cancellare l’onta di Lissa del 1866 accreditandosi, anche tra l’opinione pubblica, come dispositivo necessario a proteggere gli interessi di Roma. Seguirono vicende alterne. Dal rafforzamento navale di epoca fascista, alla ferita di Capo Matapan durante il secondo conflitto mondiale, dall’umiliazione del trattato di pace del 1947 alla ricostruzione postbellica, funzionale alle logiche del mondo bipolare.
Erano gli anni in cui il Paese desiderava rialzarsi, dopo i colpi della guerra, per difendere una posizione di media potenza regionale con ambizioni globali. E la nostra Marina, pur nei limiti di manovra imposti dall’appartenenza al campo occidentale, seppe reinventarsi e dare il suo contributo agli sforzi di Roma per essere al passo coi tempi.
Con la fine della guerra fredda, le dinamiche consolidate e rassicuranti dei due blocchi sono venute meno. Il Mediterraneo, pur rimanendo nella disponibilità degli Stati Uniti, che ne riconoscono il fondamentale valore strategico, è diventato oggetto di contesa tra i Paesi rivieraschi. Negli ultimi anni, hanno fatto la loro comparsa anche i cinesi, che mantengono per il momento una presenza ancora discreta. E sono tornati i russi, sfruttando le guerre civili siriana e libica per ridare vigore al sogno antico di mettere un piede nei “mari caldi”. L’Italia è stata colta di sorpresa da tali cambiamenti.
La crisi economica e del debito sovrano, unita a una scarsa sensibilità della classe dirigente e dell’opinione pubblica verso la dimensione strategica delle relazioni internazionali, ci hanno fatto perdere terreno rispetto ai nostri vicini. La Marina Militare non è rimasta estranea alle conseguenze di più di un decennio di tagli.
Attualmente la nostra flotta comprende 56 unità, cioè 20 navi in meno rispetto al 2010. E potremmo scendere al di sotto di 50 entro la metà di questo decennio poiché il piano di ammodernamento prevede che solo una parte delle 32 unità prossime alla dismissione sia sostituita con navi più moderne. La scure dei tagli si è abbattuta anche sul personale, con poco più di 27.000 marinai in servizio, a fronte dei 41.000 francesi e dei 44.000 turchi, che Erdoğan vuole portare a 60.000 in pochi anni.
Per molto tempo il ridimensionamento delle nostre forze armate sul piano quantitativo è stato giustificato con la necessità di favorire gli investimenti nella formazione delle risorse umane e nella qualità dei mezzi. Il che è vero. Però il rischio è di compromettere le capacità operative della Difesa, scendendo al di sotto di una certa soglia. Questo vale soprattutto per la Marina Militare, in un momento storico caratterizzato dalla corsa ad accaparrarsi il controllo degli spazi marini. Molti Stati mediterranei tendono ad affermare la loro giurisdizione su aree considerate mare libero in passato. L’istituto giuridico utilizzato più di frequente è la Zona Economica Esclusiva, previsto dalla parte V della Convenzione di Montego Bay sul diritto del mare. L’Algeria, ad esempio, è arrivata a rivendicare il diritto all’utilizzo esclusivo delle risorse di tratti di mare a ridosso delle coste della Sardegna.
La progressiva territorializzazione del Mediterraneo ha dato avvio a una corsa agli armamenti navali da parte degli Stati costieri, necessaria ad affermare e difendere le loro ambizioni. Quando si innescano dinamiche di questo tipo, è impossibile sottrarsi al rafforzamento della Marina Militare. A meno che non si accetti l’idea di scivolare nell’irrilevanza o, peggio ancora, di scoprirsi vulnerabili in casa propria.
E allora il modo migliore per festeggiare questa Giornata della Marina, nel 160° anniversario della sua nascita, potrebbe essere proprio quello di invertire la tendenza degli ultimi anni, investendo di più in questo strumento fondamentale di tutela della sicurezza e degli interessi nazionali. Perché immaginare un’Italia dotata di una Marina Militare non solo moderna ed efficiente, ma anche delle dimensioni necessarie a sostenere le ambizioni politiche ed economiche di un Paese che non si rassegna al declino non è un giochetto sterile per appassionati di geopolitica, ma un investimento sul futuro.
Foto: leganavalenews.it
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