Una nuova crisi scuote la sponda sud del Mediterraneo. Il 24 agosto, l’Algeria ha annunciato l’interruzione dei rapporti diplomatici con il Marocco, accusato di attività ostili e di sostenere il terrorismo. La decisione era attesa, alla luce delle tensioni antiche tra i due Paesi, accentuatesi negli ultimi dieci mesi. Si approfondisce così una frattura tradizionale dello scacchiere maghrebino, aumentandone l’instabilità. Le potenze esterne alla regione stanno già muovendo le loro pedine. L’Italia è, come al solito, assente non giustificato.

Le relazioni tra Rabat e Algeri sono avvelenate fin dagli anni Sessanta del secolo scorso. Nel 1963, poco dopo la firma degli accordi di Evian che ne sancirono l’indipendenza, l’Algeria combatté la cosiddetta guerra delle sabbie contro il Marocco. Il conflitto nacque da alcune dispute confinarie, soprattutto tra le città di frontiera di Béchar e Tindouf. L’intervento dell’Organizzazione per l’unità africana permise di evitare l’escalation, ma il seme della discordia era stato gettato. Pesavano anche le profonde differenze tra i sistemi politici dei due Paesi. Da un lato, l’Algeria socialista di Ahmad Ben Bella, appoggiata dall’Unione Sovietica e poi campione del terzomondismo; dall’altro, la monarchia alawide di Hassan II, alla testa di un regime conservatore e accentrato, alleato degli Stati Uniti e impegnato a cercare un modus vivendi con la vecchia potenza coloniale francese.

Ma la data simbolo dell’inimicizia tra i due Paesi arabo-berberi è il 1975. In quell’anno, Madrid abbandonò la colonia del Sahara spagnolo, sulla costa atlantica. Circa 350mila civili marocchini e 25mila soldati risposero all’appello del re di organizzare una Marcia verde per occuparne il territorio. Inizialmente, la parte meridionale fu conquistata dalla Mauritania, che la amministrò fino al 1979, quando il peso della guerriglia divenne insostenibile. Nel 1976, infatti, il Fronte Polisario, formatosi tre anni prima come movimento di rivendicazione delle istanze indipendentiste locali, aveva annunciato la nascita della Repubblica democratica araba dei sahrawi. Il rifiuto degli occupanti di abbandonare il territorio fu all’origine di attentati e atti di guerriglia contro le forze marocchine.

È in tale contesto che si inserì l’Algeria, finanziando il Fronte Polisario e accogliendo migliaia di profughi sahrawi, soprattutto intorno all’oasi di Tindouf. Il Paese era spinto all’azione, oltre che dai già descritti attriti con Rabat, anche dalla prospettiva di influenzare un movimento rivelatosi affine sul piano ideologico. Il gigante africano ambiva ad accedere a tratti di costa molto pescosi e ai ricchi depositi di fosfati, necessari alla produzione di fertilizzanti per l’agricoltura. Dal suo territorio sono partite molte azioni ostili verso le forze di sicurezza marocchine, che hanno insanguinato l’area fino al 1991. In quell’anno fu concordato un cessate il fuoco, grazie alla mediazione delle Nazioni Unite, per indire un referendum sull’indipendenza del Sahara occidentale. La consultazione non è però mai avvenuta e il conflitto ha finito per cristallizzarsi, dimenticato dal resto del mondo.

Le cose sono cambiate alla fine dell’anno scorso. Il 10 dicembre, il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, annunciava che il Marocco si apprestava a normalizzare i rapporti con lo Stato ebraico. Si trattava del quarto Paese in pochi mesi, dopo Emirati, Bahrain e Sudan, ad aver allacciato rapporti con Israele, nel quadro degli Accordi di Abramo. Per facilitare l’intesa, Washington ha riconosciuto la sovranità di Rabat sul Sahara occidentale, impegnandosi ad aprirvi un consolato al più presto. La scelta ha suscitato la dura reazione di Algeri, che accusa il vicino di pratiche neocoloniali e di condurre una politica destabilizzante per la regione. Poche settimane fa, il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, durante una conferenza stampa a Casablanca, aveva espresso preoccupazione per la crescente influenza iraniana sull’Algeria.

Le accuse a Rabat riguardano anche gli incendi, che hanno devastato tutto il Maghreb durante l’estate. Le autorità algerine hanno affermato che dietro ai roghi, responsabili di quasi cento morti, ci siano due organizzazioni terroristiche, sostenute dai marocchini. In particolare, i sospetti ricadono sul Movimento per l’autodeterminazione della Cabilia, denominato MAK. Lo scorso luglio, tale regione aveva già scosso i rapporti tra i due Paesi. Il rappresentante marocchino alle Nazioni Unite aveva affermato che l’Algeria dovrebbe essere coerente e riconoscere le rivendicazioni dei berberi della Cabilia. Proprio come fa con i sahrawi del Sahara occidentale. Tali parole avevano indotto Algeri a ritirare il suo ambasciatore da Rabat.

In una nota, il ministero degli Esteri marocchino definisce “assurde” le accuse e ribadisce l’impegno a dimostrarsi un alleato “sincero e leale”. Rabat vuole sviluppare relazioni sane e proficue con gli altri Paesi del Maghreb e approfondire la cooperazione regionale. In occasione della Festa del trono, il re Muhammad VI, al potere dalla morte di Hassan II nel 1999, aveva usato parole molto concilianti, arrivando a prospettare la riapertura dei confini terrestri, chiusi dal 1994. In quell’occasione, il sovrano ha anche annunciato di voler “inaugurare una tappa senza precedenti” nelle relazioni con la Spagna. I rapporti tra i due Paesi hanno vissuto una crisi molto acuta nella scorsa primavera. Ad aprile, Madrid aveva acconsentito al ricovero del leader del Fronte Polisario, Brahim Ghali, infettato dal Covid-19. Per ritorsione, Rabat aveva innescato una crisi migratoria a Ceuta e Melilla, con migliaia di marocchini incoraggiati a superare le barriere di confine.

Il premier spagnolo, Pedro Sanchez, ha accolto con favore le parole di Muhammad VI, sottolineando la relazione strategica tra i due Paesi. Madrid è saldamente il primo partner commerciale del Marocco. La sua quota di mercato nell’import del Paese maghrebino è stata pari al 15,2 % nel 2020 (l’Italia è al 5,3 %). Inoltre, il gasdotto Maghreb-Europa, che dal 1996, fornisce il gas naturale di Hassi R’Mel, nell’Algeria centrale, alla Spagna e al Portogallo, dovrebbe diventare di proprietà di Rabat entro il 31 ottobre. L’infrastruttura rappresenta un’occasione di collaborazione. Ma l’Algeria potrebbe usarla per esercitare pressioni su Madrid, dirottando il gas nelle tubature dirette verso l’Italia, attraverso la Tunisia. L’impressione è infatti che Algeri sia finita in un punto morto e soffra di un certo isolamento internazionale, con la crisi attuale pensata per dirottare verso l’esterno una parte del malcontento interno e per cercare il sostegno degli alleati tradizionali.

La posizione strategica dei Paesi maghrebini e le risorse del sottosuolo algerino non lasciano indifferenti le potenze interessate a questa parte di mondo. Non è un caso che la Francia non abbia esitato a invitare Algeri e Rabat alla cooperazione. Anche se Parigi non nasconde di appoggiare il Marocco, con il quale intrattiene relazioni non appesantite dal ricordo della guerra d’Algeria degli anni Cinquanta. Gli Stati Uniti hanno confermato il loro sostegno a Rabat e l’impegno a collaborare per affrontare le sfide di sicurezza e nella lotta al terrorismo. Più cauta la reazione della Russia, tradizionale alleata di Algeri e primo fornitore di equipaggiamento militare, così come della Cina. Questa infatti è interessata a muoversi con circospezione, per sfruttare tutte le opportunità di penetrazione commerciale fornite da entrambi i Paesi, senza insospettire gli americani. L’unica assente è l’Italia.

Il nostro Governo non ha sentito la necessità di prendere una posizione ufficiale in questa nuova crisi, che si accende alle porte di casa nostra. Quasi che Algeri non si trovi a un’ora e mezza di volo da Roma. Come se il Maghreb fosse un’area lontana, collocata in zone remote e sconosciute. Ricordiamo che l’Italia è il primo mercato di destinazione dell’export algerino, con 180 imprese nazionali operanti in maniera strutturata. Siamo il terzo partner commerciale del Marocco, con un saldo commerciale in attivo per quasi 700 milioni di euro. Tutto questo non basta evidentemente a suscitare l’attenzione del nostro Paese, che invece dovrebbe essere più attento a quanto succede a qualche decina di chilometri dalla Sardegna. Sono in gioco opportunità commerciali, di influenza geopolitica e di cooperazione internazionale. Questa nuova crisi intra-maghrebina dimostra che continuiamo a sprecare occasioni e a disinteressarci di quello che dovrebbe toglierci il sonno.

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