Il 10 dicembre, il presidente uscente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che il Regno del Marocco è il quarto Paese arabo da agosto scorso, dopo Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Sudan, ad aver deciso di normalizzare i rapporti diplomatici con Israele. Come parte dell’accordo, Washington ha riconosciuto la sovranità di Rabat sul Sahara Occidentale, oggetto di contesa con il Fronte Polisario, che dal 1973 si batte per l’autodeterminazione del popolo sahrawi, prima soggetto al controllo della Spagna.
La partecipazione marocchina a quelli che l’amministrazione americana ha sponsorizzato come “Accordi di Abramo” è stata salutata con particolare entusiasmo nello Stato ebraico, anche in ragione dei legami storico-culturali con il Paese maghrebino. Il Marocco ospita la più numerosa comunità ebraica del mondo arabo e, nel preambolo della sua costituzione, è specificato che l’identità nazionale, frutto delle componenti arabo-islamiche, africane e amazigh, si nutre e si arricchisce dei contributi andaluso, ebraico e mediterraneo. Oggi in Marocco la comunità ebraica conta circa tremila persone, un numero esiguo rispetto alle 250mila unità che ne facevano parte fino alla metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. L’affrancamento di Rabat dal protettorato francese nel 1956 indusse quasi tutti gli ebrei, spaventati dal pericolo di persecuzioni, a emigrare in Israele, in Europa o negli Stati Uniti, ma il legame culturale e affettivo con il Marocco non è mai venuto meno.
Anche sul piano politico ed economico, i rapporti tra il Regno magrebino e lo Stato ebraico possono vantare una storia più lunga e articolata rispetto ai Paesi del Golfo. Hassan II, padre dell’attuale monarca Muhammad VI, sul trono tra il 1961 e il 1999, fu il primo capo di uno Stato arabo a cercare di mediare per risolvere le dispute tra Israele e i suoi vicini, prima ancora che il presidente egiziano, Anwar al Sadat, avviasse i colloqui destinati a portare al trattato di pace del 1979. La disponibilità di Rabat a prestare i suoi buoni uffici permise anche una serie di visite, quasi sempre tenute segrete, di politici israeliani, compresi i primi ministri, Golda Meir, Yitzhak Rabin e Shimon Peres. Tali rapporti, insieme alla speranza di una soluzione pacifica del conflitto israelo-palestinese suscitata dagli accordi di Oslo del 1993, portarono all’apertura di uffici di rappresentanza, preludio all’avvio di rapporti diplomatici ufficiali. Nel 2000, però, la seconda Intifada fu causa di una temporanea interruzione di quel dialogo avviato anni prima.
Le difficoltà politiche non hanno precluso ai due Paesi di mantenere solidi rapporti in campo economico, anche se gestiti da Rabat sempre in maniera molto discreta. Le economie del Marocco e di Israele sono complementari sotto molti punti di vista e presentano similitudini nelle aree che beneficiano del clima mediterraneo. Israele resta un partner molto importante per il Paese maghrebino anche nella fornitura di tecnologie da impiegare nei settori della difesa e dell’intelligence. Infatti, Rabat investe risorse ingenti per fronteggiare le minacce derivanti da quei cittadini che hanno aderito a movimenti islamisti, molti dei quali partiti per combattere in Siria nei ranghi del sedicente Stato islamico, ma anche dal Fronte Polisario, sostenuto dall’Algeria.
Nei prossimi mesi, verranno pianificati voli di linea diretti e saranno aperti uffici di collegamento, in vista dell’insediamento dei rispettivi ambasciatori. Restano però alcune incertezze. Il Marocco ha infatti ribadito il proprio sostegno al popolo palestinese e alla difesa dei suoi diritti, appoggiando la soluzione della controversia con gli israeliani basata sulla creazione di due Stati indipendenti. La politica degli insediamenti ebraici in territorio palestinese, favorita con decisione dai Governi presieduti da Banjamin Netanyahau, è ampiamente condannata dall’opinione pubblica marocchina.
Un effetto simile potrebbe avere l’atteggiamento della nuova amministrazione statunitense, guidata da Joe Biden. I democratici americani sono infatti meno disposti a subordinare questioni rilevanti per loro sistema di valori o dotate di una forte carica simbolica, come appunto la vertenza palestinese, alle esigenze della realpolitik e alla volontà di creare un fronte compatto tra Israele e i Paesi arabi ostili all’Iran. Inoltre, Biden potrebbe optare per una soluzione più morbida rispetto al riconoscimento tout court della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, chiedendo a Rabat di concedere ampia autonomia ai sahrawi e di favorire investimenti per migliorarne le condizioni di vita. Questi elementi non sono tuttavia capaci di portare il Marocco a rinunciare alle opportunità derivanti dal riconoscimento di Israele, contribuendo così a dare sempre maggiore rilevanza agli “Accordi di Abramo”, in attesa che ad essi aderisca il tassello più importante del mosaico, l’Arabia Saudita.
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